“La diagnosi di disturbi dello spettro autistico è sempre più precoce e questo consente dei migliori risultati, perché prima si inizia la terapia e maggiori sono le possibilità in termini prognostici. L’ intervento oggi è possibile già a partire dai 18 mesi di vita, ma ci tengo a sottolineare che una diagnosi precoce non significa una diagnosi anticipata. Anche di fronte a un bambino con rischio di disturbo dello spettro autistico o con uno sviluppo fortemente atipico, specialmente per le aree coinvolte nei disturbi dello spettro autistico, è possibile progettare un intervento che sia assolutamente cucito su di lui”. A dirlo è Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile e responsabile medico del servizio di Diagnosi e valutazione dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), che in occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza anticipa i temi che affronterà nel corso del congresso ‘La pediatria italiana e la pandemia da Sars-Cov-2′ organizzato dalla Societa’ italiana di pediatria (Sip) il 27 e 28 novembre 2020.
“Quest’ anno ci focalizzeremo sui segnali precoci e gli indicatori predittivi”, sottolinea ancora Vanadia, che interverrà all’appuntamento Sip sabato 28 novembre all’interno della sessione ‘I disturbi dello spettro autistico e la Pandemia SARS-CoV-2 nella prospettiva evolutiva’. “Quello che vorremmo fare è condividere quali possono essere non solo gli indicatori e i segnali d’allarme, già abbastanza noti, ma- in particolare, sottolinea la neuropsichiatra- quelle variabili dello sviluppo che possono preludere a una strutturazione che nel tempo si potrà irrigidire con condotte di tipo autistico. Inoltre vorremmo evidenziare quei quadri che possono andare in diagnosi differenziali con i disturbi dello spettro autistico. Nei primi tre anni di vita ce ne sono svariati- precisa la neuropsichiatra- per esempio i disturbi della processazione sensoriale o severi disturbi della comunicazione e del linguaggio, ma anche alcune condizioni di attaccamento disfunzionale. Come sappiamo il comportamento è un po’ come una punta dell’iceberg dietro la quale si possono nascondere matrici e cause differenti”.
GLI INDICATORI PREDITTIVI – Da anni l’IdO porta avanti una ricerca “rispetto a un protocollo di valutazione che ci ha consentito, almeno fino ad oggi- dice Vanadia- di prevedere con buona attendibilità le evoluzioni del bambino con un disturbo dello spettro autistico inserito in un progetto che si basa sul modello evolutivo relazionale a mediazione corporea DERBBI (Developmental, Emotional Regulation and Body-Based Intervention). Il nostro impegno attuale- precisa Vanadia- è di riuscire a definire se gli indicatori predittivi sono assoluti, cioè se qualunque bambino, indipendentemente dal livello di sintomatologia, di gravità, di sintomatologia autistica e di quoziente intellettivo, al momento in cui mostra quei predittori positivi avrà un buon outcome. Questo non significa chiaramente e necessariamente uscire da una diagnosi di autismo, ma vuol dire avere un buon livello di sviluppo, di adattamento e di autonomia”, sottolinea la neuropsichiatra. Se gli indicatori sono invece “specifici rispetto a un certo tipo di intervento- prosegue- significherà che i bambini che hanno quel tipo di indicatori positivi avranno un buon outcome se faranno quel tipo di terapia”.
I NUMERI – “Nella fascia di età compresa fra zero e due anni, quindi nell’arco dei primi ventiquattro mesi di vita, una percentuale importante dei bambini che afferiscono al servizio di diagnosi e valutazione dell’IdO manifesta dei comportamenti compatibili quanto meno con un rischio specifico (di rientrare in una diagnosi di spettro autistico, ndr). È importante- prosegue- che di fronte a dei comportamenti si riesca a fare una valutazione multidisciplinare, multidimensionale che consenta di orientare la diagnosi verso un ambito piuttosto che un altro. Perché da una diagnosi- conclude Vanadia- dipendono un tipo di intervento, un certo vissuto dei genitori e un certo approccio della scuola. Quindi noi abbiamo la responsabilità e il dovere di essere quanto più precisi e cauti possibili”, conclude la neuropsichiatra.